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martedì, Ottobre 8, 2024

Il “grande incompreso” Francesco Sofia Alessio

Il 14 aprile di 78 anni fa moriva Francesco Sofia Alessio, tra le più alte personalità di Taurianova

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Il 14 aprile 1943 si spegneva il maggiore latinista del mondo dopo Giovanni Pascoli, il nostro concittadino Francesco Sofia Alessio. Dalle brevi note biografiche si rileva l’eccezionale personalità poetica dell’umile maestro di Radicena.

Come testimonia Padre Giovanni Semeria: “In un paese dove molti professori di latino non sanno scrivere né un periodo né un verso nella lingua di Cicerone e di Virgilio, era giusto che uno scrittore inesauribile di bei versi latini rimanesse confinato nei banchi di una scuola elementare. Nel paese della camorra Francesco Sofia Alessio non ha appartenuto e non appartiene a nessuna cricca né vecchia né nuova”.

Scrive ancora Semeria: “Sono venuti a scovarlo gli stranieri. E’ venuta la gloria. E’ arrivata da Amsterdam. Due, tre volte lassù si sono accorti che a Radicena c’è un poeta latino, vero poeta latino. Ad Amsterdam se ne sono accorti. A Roma no”.

“Nemo propheta in patria”: le autorevoli proteste riportate sono di un’attualità sconcertante. A Taurianova ben pochi tuttora conoscono l’uomo che con il suo ardore missionario e la sua perseveranza seppe esprimere l’integrità dei costumi, la saggezza e la religiosità dei nostri padri, per mezzo della lingua che rese Roma maestra delle genti.

“La fiaccola dell’umanesimo”, affermò Giuseppe Olivadoti, “passò dal Pascoli nelle mani di Francesco Sofia Alessio e la sua luce brillerà sempre più viva nell’amata terra di Calabria e nel mondo. I suoi carmi sopravviveranno attraverso il mutare dei tempi e degli eventi storici, fino a quando sopravviveranno i sentimenti più nobili e gentili dell’umanità”. 

“Le creature di Alessio”, sostiene Mons. Francesco Aloise, “sono creature vive e palpitanti. La loro storia è la nostra storia. La poesia gli sgorgava spontanea e quasi di getto dalla fantasia e dal suo cuore nobilissimi”.

Ritratto di Francesco Sofia Alessio, opera di Adriana Caruso

Per valutare la figura del nostro “grande incompreso”, occorre accostarci allo studio delle sue opere. Ci soffermeremo, pertanto, a considerare i principali poemetti che gli valsero tre grandi Medaglie d’Oro.

Il “Sepulcrum Joannis Pascoli”

“Heu! iam non illum tacita regione vagantem \ aspicit intentus densa de sepe bubulcus: \ non illum videt alma Soror, quae prospicit amens \ num redeat frater: maerens dolet usque gemitque”. [Non più il bifolco della selva, ahimè! \ vagare lo vedrà pei dolci campi \ nè la sorella più lo attenderà: \ a lei non resta che il dolore e il pianto].

“Dulce queruntur aves: hospes singultit hirundo: \ at circumvolitat per opaca sepulcra nigella”. [Gemon gli uccelli e pei sepolcri opachi \ la rondine singhiozza e vola intorno].

“Ales visa queri: congemit hospita, \ hospes dum sub humo dormit amiculus”. [La rondinella si dispera: \ l’amica piange mesta \ perchè il poeta dorme solo, \ abbandonato]. 

Ma ecco la voce del poeta che si fa sentire:

Hic tandem iaceo gremio telluris in almo; \ hic viridi clivo molliter ossa cubant”. [Qui finalmente giaccio senz’affanni\ nell’almo grembo dell’amata terra; \ qui sopra un verde clivo dolcemente\ trovano pace le mie stanche membra].

Il Pascoli prosegue ricordando la sua dolorosa vita di orfano accanto alla dolce sorella. Egli “da ombra” può adesso rivedere quei luoghi che gli furono familiari, allietati da una natura meravigliosa.

 Ed ancora:

“Frontem tum video fulgentem luce paternam, \ olim quae duro vulnere laesa fuit”. [Qui rivedo la fronte di mio padre \ colpita a morte da assassina mano, \ ed una luce che vi brilla dentro”].

Pure la Madre lo accoglie con amore e assieme ripercorrono il passato, “liberi da pene e da tristezze”. A questo punto il poeta torna ai cori dell’Eliso. Accompagnato, quindi, da Orazio e da Virgilio, incontra in un’armoniosa cornice i personaggi dei suoi componimenti latini.          

“At caput est sacrum, venerabilis ara sepulcrum”. [Il corpo è sacro ed il sepolcro è un’ara].

Al calar dell’ombra della notte, la sorella Maria fa visita al poeta e prima di allontanarsi gli augura la sospirata pace.

La vera grandezza dell’Alessio” – scrive il prof. Giuseppe Olivadoti – “si rileva nel carme ‘Sepulcrum Joannis Pascoli’. Molti scrittori dal Mingarelli al Pellacchia, dal Gandiglio al Rosati, hanno tentato – ma con scarsa fortuna – di rievocare, in occasione della morte del Pascoli, le sue effusioni poetiche. Ma soltanto l’umile maestro di Radicena ha saputo esprimere la fisionomia spirituale del Pascoli, rievocare la sua mirabile arte ed additare agli italiani il culto degli ideali. In questo componimento l’Alessio rivela la sua delicata vena poetica, la profondità del suo sentimento, la squisita gentilezza del suo animo che si piega per piangere sulla tomba dell’amato poeta. I versi scorrono a guisa di melodiose note musicali. Ogni parola ha una sua particolare vibrazione, un suo particolare respiro. Vibra nel carme una vivida aria di classicismo, scossa da fermenti di problemi, di sociale e cristiana umanità. Mirabile e suggestiva la descrizione del vespro e la figura della sorella del Pascoli che, quale vergine dolente, avanza tra le ombre dei sepolcri; afflitta tocca coi ginocchi la terra e abbraccia il funereo tumulo del fratello. Le sembra allora di contemplare il fratello stesso, di accarezzare il suo volto, di ascoltare la dolce loquela”. 

“Pax, gentes, pax in terris; absistite bello”. [Sia pace sulla terra; o genti, pace].

È motivo di orgoglio per Taurianova aver avuto un così celebre personaggio che, oltre al paese natio, ha onorato la Calabria nel mondo.

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